A Cura dello Studio Legale Ferrante e Associati
Il contratto a tutele crescenti è un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con uno specifico regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo. Tale tutela aumenta con l’aumentare dell’anzianità di servizio del lavoratore.
La normativa di riferimento è il Decreto Legislativo 04/03/2015, n. 23, che stabilisce una disciplina differente rispetto a quella dell’art. 18 l. n. 300/1970 (come già modificata dalla legge Fornero, l. n. 92/2012), nonché rispetto alla disciplina in tema di licenziamento anche al di fuori dell’applicazione dell’art. 18 dello Statuto, quindi relativamente alla legge n. 604/1966. In pratica, finché non si avrà una situazione in cui tutti i contratti saranno a tutele crescenti, coesisteranno nel nostro ordinamento tre differenti tutele in caso di licenziamento del lavoratore assunto a tempo indeterminato.
L’introduzione di questa nuova fattispecie contrattuale si collega all’obiettivo del Governo di favorire le assunzioni a tempo indeterminato. E’ per questo motivo che sono stati anche introdotti degli sgravi contributivi molto vantaggiosi, alle condizioni previste dalla legge, per l’assunzione di dipendenti con contratto a tempo indeterminato. Tali esoneri contributivi - riconosciuti per ben tre anni, relativamente alle assunzioni effettuate fino al 31/12/2015 -, sono stabiliti dall’art. 1, comma 118 e 119 Legge 190/2014, dalla Circolare Inps 17/2015 e dal Messaggio Inps 1144/2015.
Il contratto a tutele crescenti si applica a: (i) i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla data di entrata in vigore del decreto: tale contratto di lavoro diviene pertanto la nuova forma comune di contratto; (ii) i casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato: il contratto a tutele crescenti servirà a stabilizzare, pertanto, i rapporti a termine già in essere. C’è un ulteriore caso molto interessante, ovvero (iii) il caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all'entrata in vigore della normativa sul contratto a tutele crescenti, integri il requisito occupazionale ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori: in particolare è interessante notare come in quest’ultima ipotesi «il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data» è disciplinato dal Decreto n. 23/2015. La disciplina dell’art. 18 l. n. 300/70, pertanto, sopravvivrà solo per chi ne ha diritto all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 23/2015, e finché l’azienda manterrà i requisiti dimensionali richiesti.
La nuova normativa prevede una tutela in caso di licenziamento che differisce a seconda che si tratti di: licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale; licenziamento per giusta causa e giustificato motivo; insussistenza del fatto materiale contestato (caso particolare del licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo); vizi formali e procedurali; licenziamento collettivo.
La tutela prevista dalla nuova forma di contratto subordinato a tempo indeterminato differisce inoltre a seconda che si tratti di: lavoratore assunto in azienda che raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, ottavo e nono comma, della l. n. 300/1970 (più di 15 dipendenti nello stesso comune, oppure più di 60 a prescindere dal comune, tranne per i lavoratori agricoli, per i quali i limiti dimensionali si abbassano); lavoratore assunto in aziende che non raggiungano tali requisiti dimensionali, definite pertanto «piccole imprese»; lavoratore assunto in organizzazioni di tendenza.
E’ sempre possibile la revoca del licenziamento entro 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo. In questa ipotesi si ha il ripristino del rapporto senza soluzione di continuità (pertanto come se non fosse mai cessato) e il diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca.
Uno degli aspetti più interessanti della normativa è la c.d. offerta di conciliazione. Il datore può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, nelle sedi previste dalla legge, un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale. Ciò permetterà di liberare maggiori risorse per la conciliazione.
La nuova disciplina ha anche delle ripercussioni sulla eventuale violazione delle procedure richieste dalla legge per il licenziamento collettivo (l. n. 223/1991) ed esclude l’applicazione della procedura di conciliazione ex art. 7, l. n. 604/66, che era stata introdotta dalla legge Fornero per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nelle aziende che raggiungono i requisiti dimensionali ex art. 18 l. n. 300/1970.
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